Non perfetto o troppo perfetto?

Come sempre non si può che rimanere affascinanti dall'elegante messa in scena di Park Chan-Wook. Il suo è un cinema stilisticamente rigoroso, in cui la bellezza dell'immagine nasce dalla perfetta organizzazione degli spazi in un gioco che alterna geometrie e colori. 

Questo assolutismo lo applica anche ai sentimenti e gli amori nei suoi film sono sempre incontrollabili. Così Decision to leave è un tango di sentimenti che fanno fatica a capirsi e ad incontrarsi e probabilmente non lo potranno mai fare. 

Chi conosce Old boy, l'opera celebre che consacrò Chan-Wook come maestro del cinema mondiale, non può che riconoscerne i temi e lo stile. Non può che attendere di farsi stritolare dalle spire del suo racconto, di entrare nei suoi ingranaggi da cui non c'è via d'uscita. 

Certo Decision to leave non vive di colpi di scena,  e a dire la verità risulta più cerebrale del precedente. Qualcosa questa volta sfugge nel procedere della trama, nel giungere al finale, nel dipanarsi degli eventi... Qualcosa fatica. Peccato. 

Premio della Regia all'ultimo Festival di Cannes, Decision to leave cita smaccatamente grandi classici come La finestra sul cortile, riflette sulla fallibilita della vista, ma anche sull'incomunicabilita delle parole, sul valore della lingua madre, ma sembra mancare di qualcosa che lo renda indimenticabile.