Un film decisamente sottovalutato tratto da un romanzo gotico nato dal dolore di una madre e affidato alla sensibilità di un rampante regista europeo. Da qui nasce Intervista col vampiro, opera ai tempi controversa, che arrivò sul grande schermo dopo diversi tentativi di trasposizione falliti, e che non ottenne gli incassi sperati.

Questo perché in realtà non è l'horror di cassetta che sembrava essere. È un film molto più profondo e maturo, che attraverso la metafora dei vampiri riflette in modo implacabile sulla natura dell'uomo, sulle sue paure e sulla natura dei suoi desideri. Racconta l'accettazione di un io che non si vuole riconoscere, dell'eterna lotta tra bene e male che ogni giorno guida i nostri comportamenti.

Lo fa attraverso un personaggio come quello di Loius, che non accetta la propria natura di immortale omicida, ma che poco per volta saprà essere se stesso. Altrettanto ben scritto il personaggio di Claudia, un vampiro bambina che non accetterà il fatto di non poter diventare donna. Ma il messaggio fondamentale è che per vivere bene bisogna sapersi adeguare ai tempi, sapersi mettere in discussione e imparare dai propri errori e dalla propria vita altrimenti la fissità dell'esistenza ci annulla.

Neil Jordan gira un film visivamente sontuoso, con le straordinarie scenografie del nostro Dante Ferretti, costumi che cambiano nelle epoche e nei continenti esplorati dal film, e una fotografia a tratti ipnotica che sa sfruttare il buio e una finta illuminazione a candela.

Sicuramente non per tutti i palati, con alcune scene decisamente forti e temi scottanti affrontati senza tabù, ma un'opera corredata di riflessioni filosofiche che raramente si possono sentire in film hollywoodiani, a partire dal potere della conoscenza, qualità ormai bistrattata nella nostra povera società.