Pioggia, Vento, Sangue e pazienza

Ho provato per un breve tempo a immaginarmi Goodland senza la fascinazione della poco conosciuta natura islandese. Il film funzionerebbe lo stesso? La risposta è nella seconda parte sicuramente sì perché Goodland è un film in cui l'ambiente è un importante coprotagonista, ma non l'unico oggetto di interesse. 

Infatti nella prima parte Palmason racchiude il viaggio del pastore protagonista nel formato 4:3 (scelta che risulterebbe discutibile allo stesso modo di come lo è ne Le otto montagne, se non fosse che qui si giustifica col fatto che il film è l'unione di sette fotografie ottocentesche scattate dal pastore che erano per sviluppo tecnico in quel formato), creando suggestione proprio grazie al paesaggio inospitale dell'isola. La pioggia, il vento e il terreno scosceso dell'isola in cui non crescono gli alberi fiaccano la volontà del pastore. 

Il film però esplode nella seconda parte, quando il pastore arriva al villaggio in cui deve costruire la chiesa e i rapporti personali travolgono quest''animo già pentito per aver accettato una prova così dura. La lingua diversa, perché l' Islanda all'epoca era una colonia danese, la vita rude dei coloni, la diffidenza nei confronti di chi arriva da fuori funzionano come un detonatore degli animi. 

Con una regia chirurgica in cui diverse carrellate ci accompagnano prima nel viaggio geografico e poi in quello dell'anima e una fotografia ipnotica che si esalta in diversi timelaps Goodland si avvale di un cast tecnico artistico notevole. Un'opera che entra sottopelle poco per volta con una lentezza che non è propria del cinema moderno. 

Una piccola scoperta da vedere, da cui bisogna lasciarsi catturare scena dopo scena in una discesa verso gli inferi dell'animo e della Terra. Un'opera che vive di elementi primordiali che si stagliano sullo schermo in modo indelebile. Andatelo a vedere armati di sana pazienza.