È sempre difficile capire quale sia il limite tra piacere del racconto e piacioneria. Kenneth Branagh, quando non viene frenato, sfocia spesso nel secondo caso e Belfast purtroppo non è un'eccezione. Il suo amarcord nord-irlandese con voce-off di bambino spesso riesce ad irritare per la faciloneria con cui tratta temi importanti della vita

Perché Belfast è lambito da temi importanti come emigrazione, differenze religiose e guerriglia eppure nulla è mai insormontabile. Tutto procede in modo semplice e leggero, senza approfondimento, in un piccolo sobborgo in cui convivono protestanti e cattolici. Sin dalla prima scena la pace e l'equilibrio raggiunto è però scalfito.

Però l'ultima battuta, finalmente affidata alla nonna e non alla melassa bambinesca del protagonista, salva il film. Un attimo di verità, che raggela e commuove in modo naturale e reale per la potenza dello sguardo. Forse si scontra col resto dell'opera, ma funziona.

Per il resto la regia di Branagh è ridondante con immagini dall'alto e rallentate eccessive. La fotografia in bianco e nero non è particolarmente ispirata e gli inserti del presente a fare da cornice poco utili. Anche il cast in realtà fa fatica ad emergere, schiacciati da personaggi macchiettistici. Si fa persino fatica a prendere sul serio Judi Dench se non per quella scena finale strepitosa. Il tutto a causa di una sceneggiatura che procede per episodi che cercano sempre di suscitare il sorriso con qualche battuta spot seminata qua e là.

Una delusione visto l'enorme successo che l'opera sta ottenendo nella stagione dei premi che si dimentica appena finita la visione. Peccato, ma a forza di cercare di piacere a tutti si rischia di scontentarne i più.

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