SGUARDI DAL MONDO: NURI BILGE CEYLAN

Se giriamo lo sguardo verso la Turchia incontriamo uno dei maestri del cinema contemporaneo mondiale: Nury Bilge Ceylan, uno dei registi più contemplativi e antispettacolari del cinema di oggi, ma con una fluidità  di racconto e di immagini che incanta ed abbaglia. 

Sin dal suo primo lungometraggio, Kasaba, già un racconto di quattro stagioni, si intuisce lo stile contemplativo che caratterizzerà gran parte delle sue produzioni. È  il primo film della Trilogia provinciale e si nutre anche di diversi ricordi dello stesso regista. 

Il secondo film è Nuvole di Maggio, l'opera più autobiografica di Ceylan che in pura chiave autoriale racconta la storia di un regista che torna nel suo paese per girare un film sui ricordi. Già da questo film si vede l'amore del regista per il dialogo colloquiale che sviscera temi filosofici. 

L'affermazione internazionale però arriva con Uzak opera che gli vale il Gran Premio della Giuria a Cannes e il premio per la Miglior interpretazione maschile ai due protagonisti. È il racconto della convivenza di due cugini profondamente diversi costretti dalla necessità (una separazione e la disoccupazione) ad Istanbul. Ma è  soprattutto nella forza delle immagini, nei silenzi e nell'ambientazione sotto la neve che si definisce l'originalità dello sguardo del regista turco. 

Nel 2006 arriva Il piacere e l'estasi, nuovo concorso a Cannes e premio Fipresci. La storia di una separazione raccontata in stagioni diverse. Nuovamente estate e neve, Istanbul e provincia questa volta per raccontare la fine di una storia d'amore con tutti i dubbi e le frustrazioni. 

Il Premio per la Regia al 61esimoFestival di Cannes gli arriva per Le tre scimmie, opera che si discosta in parte dalle precedenti per l'ambientazione completamente cittadina e la presenza di personaggi abbienti. Per la prima volta si affaccia esplicitamente la politica e i dilemmi etici si fanno più evidenti. Regia chirurgica e implacabile chiude un ottima pellicola. 

Nel 2011 gira il suo capolavoro: C'era una volta in Anatolia, nuovamente Gran Premio della Giuria a Cannes. Come lascia intuire il titolo le riflessioni sulla vita del regista questa volta si nascondono in un impianto noir in cui due poliziotti accompagnano un killer in giro per l'Anatolia alla ricerca di un corpo. Per la prima volta si affaccia anche l'ironia attraverso le battute dei poliziotti stessi. Con una fotografia ipnotica nelle luci della notte della steppa anatolica Ceylan gira il suo western dell'anima. Indimenticabile. 

Finalmente nel 2014 arriva la Palma d'oro col fluviale Il regno d'inverno, un lungo racconto tra i Camini delle fate in Cappadocia dove il proprietario di un albergo, nonché scrittore attraversa l'inverno e la neve tra pensieri, riflessioni e vita dei vicini. Ispirato a Checov con una sceneggiatura che tocca vette di complessità mai affrontate prima da Ceylan, Il regno d'inverno è l'ennesimo film ipnotico in cui il lento scorrere del tempo scende sugli spettatori come la neve nuovamente coprotagonista del film. Un'opera monumentale ma di difficile fruizione. 

 



Torna in concorso a Cannes con L'albero dei frutti selvatici. Forse la sua opera matura meno riuscita, ma che non rinuncia a parlare di vita, di morte e filosofeggiare sui problemi della vita. Ennesimo film parlato in cui l'estetica contemplativa guida lo spettatore. 

Nel 2023 presenta l'ultima opera in concorso a Cannes dove porta a casa un riparatorio Premio per la miglior interpretazione femminile. Un racconto di due stagioni ritrova l'equilibrio magico dei migliori film di Ceylan, dove parole e immagini creano un mondo filosofico di rara finezza. Torna coprotagonista la neve e il passare delle stagioni in un dillemma etico di difficile soluzione. Racconto fiume che aggancia lo spettatore sino ad un finale volutamente ambiguo. 

Ceylan è un regista che ama la vita, quella di tutti i giorni, quella che cambia passo dopo passo, in modo impercettibile, ma che stagione dopo stagione costringe a prendere decisioni spesso scomode a volte sbagliate. La sua regia è  sempre ipnotica, capace di attrarre l'attenzione dello spettatore con lunghe inquadrature in cui si inseriscono dialoghi di non comune profondità. Non è  mai semplice da guardare, ma è sempre soddisfacente da interpretare. Dategli una possibilità in una giornata in vui non avete fretta proprio come la natura.