THE WHALE - ANALISI DEL FILM DI GIUSEPPE ARMELLINI


 

The Whale è un film gigantesco, quasi quanto il suo protagonista.

Un'opera dolorosa e coraggiosa.

Un film dove l'obesità non diventa mai il tema principale ma soltanto una delle tante possibili scelte che si potevano prendere per raccontare una storia, una storia di amore, di odio, di cattiveria, di condanna, di perdono, di misericordia, di sofferenza.

Con dei personaggi molto complessi, anche "sbagliati" come esseri umani, a cui però non puoi non voler bene.

Dopo Il Cigno Nero, The Wrestler (a proposito, tra i 3 film c'è un emozionante punto in comune) e Madre! l'ennesima conferma di quanto questo regista sappia emozionarmi e farmi riflettere.

E di quando sappia raccontare tutti i lati migliori, e quelli peggiori, degli esseri umani


 

PRESENTI SPOILER SIN DA SUBITO

 


 


 

Appena visto lo struggente finale, in una specie di immediata epifania (ma le epifanie sono immediate per definizione) mi sono venuti in mente 3 film, sbam, come se quel finale li avesse racchiusi tutti.

Con una certa emozione mi sono accorto poi che due dei tre film che mi sono esplosi in testa erano dello stesso Aronofsky.


 

Il Cigno Nero finisce con la (quasi sicura) morte della protagonista, con un ultimo salto.

The Wrestler finisce con la (quasi sicura) morte del protagonista, con un ultimo salto.

The Whale finisce con la (quasi sicura) morte del protagonista, anche qui con un ultimo ed estremo gesto fisico.

Tre film (i soli che ho visto del regista oltre Madre!, per me 4 film straordinari tutti) che finiscono tutti allo stesso modo, con il protagonista che muore (lo diamo per certo anche se non è mai esplicitato del tutto).

Eppure, ed è questo il punto di incontro più emozionante, tutte e 3 le morti nascondono un senso di "felicità" al loro interno, il raggiungimento di un obiettivo (inseguito peraltro per tutto il film).

Per Nina arriva finalmente quel senso di perfezione che tanto ricercava.

Per Randy the Ram il momento che anche lui tanto ricercava, quello del tornare ad essere amato, ad essere l'idolo della folla.

Per Charlie, il professore obeso del film, quello del ricongiungimento affettivo con la figlia, in qualche modo fino a quel momento bloccato da 9 anni nella tesina che la stessa scrisse su Moby Dick.

I finali sono tutti e 3 pieni di pathos, empatici, dolorosi, eppure quelle 3 persone hanno, in qualche modo, "deciso" di morire in nome di ideali o di emozioni per cui, per l'appunto, valeva la pena anche morire.

E' vero, le differenze ci sono, ad esempio il nero che inghiotte lo schermo poco dopo che Randy salta dalle corde è opposto al bianco dell'ascensione di Charlie. Uno se ne va quasi piangendo, l'altro probabilmente nel momento più felice dei suoi ultimi anni.

Eppure, come dicevo, tutti e due gli uomini (e anche Nina) preferiscono il rischio di morire "felici" a quello di non morire e tornare ad una "vita non vita" alla continua ricerca di qualcosa.

Ma c'è un altro film che questo grande finale mi ha ricordato, ed è Birdman.

Anche lì un padre e una figlia.

Anche lì un rapporto impossibile che sfiora l'odio.

E anche lì una probabile morte finale trasformata invece, con lirismo, in un'ascensione, in qualcosa di "bello", liberatorio, leggero.

The Whale finisce ma probabilmente, come già fece Emma Stone in Birdman, anche Sadie Sink (Ellie) avrebbe alzato gli occhi all'insù e, forse, riso pure lei.


 


 

The Whale è un film gigantesco quasi quanto il suo protagonista.

Un'opera dolorosa, coraggiosa, ambigua.

Un film dove l'obesità non è mai il tema principale ma soltanto una delle tante possibili scelte che si potevano prendere per raccontare una storia.

Una storia di amore, di odio, di cattiveria, di condanna, di perdono, di misericordia, di sofferenza.

Con un personaggio in tutti i sensi enorme che, quasi come un Cristo, sa regalare solo amore e perdono, qualsiasi cosa succeda, qualsiasi cosa gli facciano o gli dicano (in questo senso segnalo una piccola perla sull'argomento, "Tore Tanzt").


 

"Non hai mai la sensazione che le persone siano incapaci di non amare?

Le persone sono meravigliose"


 

E' in questa commovente e presumibile bugia (per noi, non per lui che ci crede veramente) che dice nel finale Charlie che possiamo ritrovare l'anima del film, un film su un uomo ormai alla deriva (e la deriva è anche il modo in cui muoiono spesso le balene), privo di prospettive, imprigionato sia nei ricordi (del compagno perso, della famiglia abbandonata) sia in un corpo ormai mastodontico che gli preclude qualsiasi cosa, un sarcofago di carne dentro il quale l'unica cosa da fare è aspettare di morire.

Un'obesità (come spesso accade) arrivata a causa di dolore, perdita e solitudine, di un vuoto che Charlie ha riempito col cibo.

Tutto abbastanza classico.

Ma The Whale, malgrado il corpo pantagruelico di Charlie sia sempre lì davanti ai nostri occhi, malgrado in ogni dialogo se ne faccia menzione, malgrado sia sempre l'epicentro di tutto, non sembra parlare di obesità ma, in generale, di qualsiasi condizione di abbandono di sè, tristezza cronica, situazione invalidante e irreversibile.

Più passa il tempo, più la solitudine e i dolori aumentano più Charlie ingrassa (non è un caso che sia raddoppiato dopo la morte del compagno e che moglie e figlia ne avevano un ricordo profondamente diverso).

Probabilmente se Charlie non morisse, o se non fosse comunque ormai destinato a morire dopo questo finale avrebbe potuto ricominciare una nuova vita, anche fisicamente.

Ma ormai, davvero quasi come un Cristo, aveva accettato di morire, con molta serenità.

Con un'ultima missione, regalare tutto l'amore possibile.


 

Nei tre film precedenti che avevo visto di Aronofsky (Il Cigno Nero, The Wrestler, Madre!) il regista stava sempre appiccicato al suo protagonista, a un palmo di naso da lui, e lo seguiva ovunque, con un tipo di regia (alla Van Sant) che a me piace da morire.

Qui non poteva, qui il suo personaggio è lì, fermo, e così anche il suo modo di girare sarà profondamente diverso. Resta comunque sempre attaccato a lui, ovviamente, ma senza potersi muovere, in una specie di regia centripeta, senza possibili vie di fuga, una regia per cui qualsiasi azione, qualsiasi movimento, resterà nell'orbita di pochi metri di quel corpo gigantesco e di quel divano.

Ovvio che per questo modo di girare di Aronofsky servano sempre attori eccezionali, attori che sanno reggere quello sguardo addosso di un'ora e mezzo.

E come la Portman, Rourke e la Lawrence anche Fraser offre una prova eccezionale, forse da un certo punto di vista più "facile" dei 3 menzionati (sei quasi sempre fermo e con una protesi che fa diventare il tuo personaggio empatico già di suo) ma al tempo stesso le maglie più strette (oddio, sembra una pessima battuta) gli permettono anche molte meno cose.


 

Ma è indubbio che l'interpretazione (e il personaggio) che rimane più addosso sia quella di Sadie Sink, ragazzina famosa soprattutto per Strangers Things (che non ho visto ma la puntata cult dove c'è lei sospesa l'ho vista, per sbaglio).


 



 

Ellie è un personaggio grandioso e complesso, come del resto anche quello di Liz (sul quale torneremo, anche lei ha molte ombre).

Ragazzina che ha visto suo padre andar via a 8 anni, che è vissuta sempre o nel disamore o nella mancanza d'amore, con un padre assente e una madre problematica e incapace di capire la sua rabbia e il suo dolore.

Una ragazzina cattiva, una ragazzina che dileggia sui social il padre obeso (addirittura augurandogli la morte in pubblico), una ragazzina che urla il suo odio continuamente, una ragazzina che accetta di stare col padre solo per prenderne l'eredità, una ragazzina alla fine talmente incattivita e "rovinata" che rompe anche il piattino del cibo dell'innocente uccellino.

Una specie di mostro, pare.

Eppure, e in questo si dimostra la grandezza del film, della sceneggiatura (derivata) e della prova della Sink, più questa adolescente fa e dice cose mostruose più l'amiamo, più vorremmo essere lì ad abbracciarla forte, più capiamo quello che sta provando, quello che ha vissuto e quello che non ha vissuto.

Il film è coraggioso perchè anche se noi in modo latente percepiamo le "cose belle" di Ellie, il suo amore contrastato per il padre e il tremendo desiderio di dare e ricevere affetto, questo personaggio resterà "negativo" fino a fine film, la sua struggente maschera (protettiva) d'odio reggerà fino all'ultimo minuto.

Ma Charlie, come noi, di quell'odio, di quelle cattiverie (terribili) quasi nemmeno se ne accorge o, comunque, non gli interessano.

Lui sa che quella sua figlia è una ragazza potenzialmente meravigliosa, profonda (non è un caso che il fil rouge del film, il temino su Moby Dick, sia così importante, non tanto per l'ovvia metafora e analogia con Charlie-balena ma soprattutto per capire la profondità dell'animo di quella bambina ora adolescente) che anche per colpa sua adesso si trova in quella situazione.

Metaforicamente ad ogni schiaffo ricevuto Charlie risponderà con un sorriso, con un perdono (anche qui richiama molto Cristo), con un incitamento alla propria figlia a tirare fuori tutto quello che ha, perchè è qualcosa di grande.

Se qualcuno che vede il film non "capisce" Ellie difficilmente potrà essere mio amico.

Ma se Ellie si mostra come personaggio fortemente negativo con all'interno cose bellissime all'opposto è invece Liz, un personaggio apparentemente solo positivo che forse, lo vedremo, ha molte ombre.

DI sicuro il personaggio più ambiguo del film.

Donna straordinaria, capace di accudire Charlie senza riceverne niente, capace di proteggerlo da tutto (sia fisicamente che emotivamente), capace di empatia.

Eppure anche lei è una donna profondamente sola che ha trovato in quell'amicizia (che sembra quasi flirtare con l'amore universale) qualcosa di "suo", possessivamente suo,che la fa star bene e la fa sentire migliore.

E per questo il suo personaggio è da analizzare.



Perchè se è vero che è lei a curarlo, a misurargli la pressione e a consigliargli di curarsi, al tempo stesso è comunque lei a fargli continuamente mangiare le cose che lo stanno uccidendo. E questa cosa è così automatica e abitudinaria che nella scena del loro primo abbraccio (momento bellissimo) basta un "per favore" detto da Charlie che lei si alza e gli prende 50 pezzi di pollo fritto. 

Un "per favore" e lei si alza e gli dà quello che lo sta uccidendo.

Sono stato con una ragazza bulimica e anche io pensavo di salvarla e intanto gli compravo 15 panini per volta, a pasto. 

Liz fa lo stesso, Liz a costo di tenerlo "suo" lo aiuta a morire.

Non solo, è una donna che non sopporta se qualche altra persona prova ad aiutare Charlie (vedi il ragazzo missionario), che non vuole che l'uomo si ricongiunga agli affetti (vedi "non voglio che tua figlia torni"), che ci rimane male quando scopre che Charlie ha soldi e non li ha dati a lei. 

Una donna che è profondamente "gelosa" di Charlie e irritata con tutti quelli che possono sostituirla.

E tanto tanto altro ancora.

Liz è la classica persona meravigliosa che aiuta gli altri ma piena di un tale egocentrismo e voglia di accentramento che non vuole che nessuno si metta in mezzo e, pur di non perdere quella persona che sta aiutando (e che copre la sua solitudine) è disposta ad essere correa della sua malattia.

Chi l'ha visto solo come personaggio positivo lo invito, se capita, a rivedere il film. Più di una volta proverà un brivido lungo la schiena, percepirà qualcosa che "non torna", la sensazione che quella specie di amore assoluto e gratis che la donna dimostra in realtà sia qualcosa di non profondamente sano.

Anzi, per niente sano.

A differenza invece dell'amore che regala Charlie, questo sì incondizionato, questo sì dato a chiunque, questo sì senza tornaconto.

Non è un caso che Liz, se non sbaglio, ad un certo punto dica anche "io sono l'unica persona che può salvarlo", ottimo riassunto di tutto quello che ho scritto.

Resta un grande essere umano, assolutamente, ma sbagliato e ambiguo come, appunto, siamo quasi tutti noi.


 

A me non hanno fatto impazzire le scene con gli alunni, anche se portano a quell'ultimo saluto e a quel "siate sinceri" che è veramente una delle carte migliori per leggere il film.

Film, appunto, sulla sincerità, sulla necessità di dire quello che si pensa, anche se può far male. E' per questo che Charlie ama ancora di più sua figlia, perchè è sincera, perchè gli dice che è un obeso di merda, perchè gli dice che lo odia, perchè sui social lo dileggia. Questo sta cercando Charlie, autenticità, e questo rimane anche come insegnamento, secondo me, del film, ovvero l'essere nudi, sinceri, veri.

L'essere tremendamente obeso è in questo senso la metafora di qualcosa di così grande, evidente ed incontestabile che solo un bugiardo o un ipocrita può negarlo o far finta di non vedere.

Charlie rappresenta empiricamente, con il suo corpo, una verità incontestabile e solo la figlia ha il coraggio di dirlo ed esplicitarlo quell'ovvio.

E lui la ama ancora di più.

E' anche vero che - l'ho visto più volte nella mia vita- più cresci nel dolore e nel disamore meno protezioni metti davanti, meno hai ipocrisie e più la facilità di dire ciò che pensi. Come se il soffrire ti portino ad una voglia di "vendetta" con il mondo che, alla fine, non è altro che l'essere sinceri, avere meno sovrastrutture.

In questo senso, anche in questo senso, il personaggio di Ellie è perfetto.


 

The Whale è, giocoforza, il film tecnicamente più sobrio di Aronofsky. La location forzata, la cornice "teatrale", l'assoluto bisogno di verità e verosimiglianza ne fanno un film molto secco, come è giusto che sia.

Paradossalmente a livello puramente tecnico trovo che l'inquadratura più bella sia proprio la prima, quel lentissimo zoom verso la casella nera di Charlie nella conference call.

Tutta la vita intorno, tutti quei visi giovani, e l'inquadratura che si avvicina lentamente a quel rettangolo nero, fino a diventare tutt'uno con esso.

Magnifico, simbolico, emozionante.

A livello narrativo ho trovato interessantissima la figura di quel corriere ricorrente che non si vede mai nè mai lui stesso vede Charlie.

In quello sguardo che infine riesce a dargli è come se fosse racchiuso "lo sguardo del mondo", ossia lo sguardo di tutte le persone di fuori che, a differenza di Liz e famigliari, non possono entrare in casa di Charlie.

Non è un caso che Charlie stesso rimanga scioccato dalla cosa, come se si fosse ricordato tutto insieme l'effetto che lui può fare al resto del mondo.

E come reazione, proprio come spesso fa chi ha queste patologie, sceglie il metodo più distruttivo, ovvero quello di farsi ancora più male (in quel tentativo di "morire di cibo" che non può non riportarmi a quel capolavoro immenso che è il nostro "La Grande Abbuffata", film che però per molti aspetti differisce totalmente da The Whale, ad esempio lì il suicidio programmato - dovuto a vari motivi - era un'esplosione di vita finale, qui sembra più una mortale implosione).

Io non lo so se The Whale sia un grandissimo film (mi è più facile dirlo, ad esempio, per The Wrestler e Madre!) ma è una di quelle opere profondamente emozionanti, con personaggi che paiono persone, con dinamiche psicologiche delicatissime e perfettamente descritte.

Un film che resta.

E quel finale è la perfetta conclusione di tutto.

Un ultimo scontro che diventa incontro, quel tema di cui non avevamo capito l'incredibile significato che ora finalmente diventa chiaro, ovvero il simbolo di tutto quello che era rimasto di sua figlia, la prova della sua sensibilità.

Una bambina (all'epoca) che si dispiaceva di come la balena in Moby Dick fosse considerata un essere senza emozioni, di come nel libro le parti in cui le balene venivano raccontate fossero solo una pausa dal racconto dei dolori del protagonista.

E suo padre, un pò come il padre di Big Fish che diventò veramente un grande pesce, ora è diventato quella balena.

Quella balena per cui lei già 9 anni prima provava empatia.

Una balena però capace ora di alzarsi e andarle incontro, in una morte che tutta insieme è fisicamente, artisticamente ed emozionalmente più simile ad una gioia infinita.

Quella balena lascia Ellie con una eredità.

"Tu sarai perfetta

Tu sarai felice"

Questa è l'eredità che lascia.

In confronto i 120.000 euro non sono niente, suo padre le lascia una ricchezza molto più importante, quella di capire finalmente, a 16 anni, cosa è veramente l'amore.

Ora piangi Ellie, prenditi il tempo che serve.

Ma ha ragione tuo padre, sarai felice.


 

DAL “BUIO IN SALA”