Julia, la sconosciuta, UNICA

La perfezione dei mezzi e la confusione dei fini sembra caratterizzare la nostra epoca”
( A. Einstein)
 
 
Julia è una ragazza bisbetica, selvaggia, disposta a tutto pur di avere una moto da cross. Si presenta come “sconosciuta” a chiunque le chieda il nome e attraverso astuti sotterfugi riesce a sottrarre ai legittimi proprietari le motociclette in vendita.  La madre non si vede mai e il fratello non sa come gestirla. Non torna a casa se non per questioni di soldi.
Entra a far parte di un gruppo di motociclisti di cross acrobatico, incentivando il mercato clandestino delle moto; come capo banda c’è un detenuto che gestisce il business dal carcere.
Il desiderio di Julia è quello di riuscire a svaligiare un camion carico di moto mentre sta percorrendo l’autostrada: per fare questo lei è i suoi amici/nemici hanno una grande destrezza.
Alcuni di loro ne sono attratti altri ne diffidano o la detestano.
Non è un tipo amabile Julia, non esercita alcuna abilità seduttiva, nonostante la sua esotica sensualità, la sua ossessione sono le moto e niente giustifica la sua attenzione se non avere soldi per correre libera come il vento.
Opera prima di Lola Quivoron, già in concorso a Un certain regard a Cannes, ora in concorso al TFF40, è un racconto aspro e potente, soprattutto per presenza di Julie Ledru, attrice protagonista esordiente dal carisma sorprendente.
Ti trasporta nei suoi sogni, nelle sue asperità e riottosità senza incedere in psicologismi gratuiti. La madre ha cambiato la serratura per non averla in casa e Julia ha un incubo ricorrente quello del generoso centauro Abra, che le aveva aperto il suo mondo e che di lì’ a poco cadeva finendo in coma per poi morire.
Non si fida di nessuno la motociclista ma si avvicina alla moglie del boss detenuto, perché emblema di quel femminile da riscattare.
Lei, così lontana dall’essere la femmina che gli uomini vorrebbero, ha tuttavia un destino già scritto proprio da quel maschile che non riesce ad accettare figure così distanti dallo stereotipo precostituito.
Un film che travolge attraverso immagini magistrali, una fotografia torbida, un ambiente clandestino, una realtà ai margini ma soprattutto per una presenza ed un volto paradigmatico indispensabile e insostituibile.
La moto è il fine, il mezzo qualsiasi cosa: una ipnotica rappresentazione della psicopatologia di una giovane donna, amazzone, centaura che insegue il fascino della libertà anarchica qualunque sia il costo da pagare.
 
“Se è vero che il fine giustifica i mezzi, ne discende che il non raggiungimento del fine non consente più di giustificarli”
(Norberto Bobbio)