RIMINI (‘114)
di Ulrich Seidl
con Michael Thomas, Geog Friedrich, Hans-Michael Rehberg, Claudia Martini, Natalya Baranova, Silvana Sansoni, Rosa Schmidl
 
 
La vita è una malattia infantile
( Manlio Sgalambro)
 
Rimini, inverno
Richie Bravo con il fratello organizzano il funerale della madre.
Il padre, afflitto da demenza senile,  vive in uno ospizio.
Richie ex star di musica pop, si aggira tra le spiagge desolate, i rifugiati, la nebbia, la pioggia, con la sua pelliccia da vichingo e gli immancabili texani. 
Ha superato i 60 anni come i suoi fans; soprattutto donne adoranti che si recano negli alberghi per ascoltare e sognare con le sue canzoni d’amore, per le quali riserva anche servizi intimi optional a pagamento facendosi trattare come un gigolò/stallone.
Le prime inquadrature indugiano sugli ospiti dell’ospizio del padre, i quali, tutti in sedia a rotelle, cantano canzoni su indicazione dei sanitari.
A queste seguono quelle  cantate agli ospiti degli hotel nelle quali si parla di amore, di vita, di felicità.
Ognuno ha un suo legame con il passato più o meno presente e disturbante. Una giovane donna cerca Richie: è la figlia che lui non vede da anni, una figlia trascurata, abbandonata che chiede riscatto economico per sé e per sua madre.
Accompagnata da una pletora di siriani, tra i quali il fidanzato, si sposta con loro in roulotte e non intende andarsene fino a quando il padre non le ha restituito il dovuto.
Gli incontri sessuali con Emilia, che ha la madre sorda nella stanza accanto,  ricompensano Bravo con denaro mai sufficiente, come quello di miseri concerti, retribuiti da un impresario rumeno, per accumulare denaro da consegnare alla figlia, anche perché l’ex- star è generosa e ama bere e offrire da bere.
La “figliol prodiga” come la chiama lui non molla  e prenderà una decisione sorprendente, come quella che utilizzerà Richie per accumulare denaro sufficiente a togliersi la figlia da torno.
Il primo episodio della seconda trilogia di Seidl torna sui temi a lui cari come quelli delle signore che retribuiscono gli uomini per soddisfare i propri appetiti sessuali; nel primo Paradise Love, che si svolge in Africa, dove attempate signore “sugar mama”si intrattengono con giovani del luogo,  mentre qui, nella Rimini della “Dolce Vita” aspra, come la chiama Richie,  come lì, lo squallore si fa arte, quell’arte inquieta e livida che indugia sulla “bellezza” dei  corpi ai quali siamo ormai disabituati, quei corpi disfatti dalla vita, dall’età, dal passato che inquadra un presente amaro e stanco sebbene vivo.
“Aggrappiamoci all’amore” canta Bravo, vestito di lustrini, gilet e pancera…per vendersi e giocare alle slot.
Straziante come sempre Seidl:  uno sguardo feroce come quello dei suoi documentari… mai così lontani dalla finzione, una finzione così attenta e implacabile da sembrare a tratti troppo nitida per essere tale.
Un racconto di vite piegate e piagate dal passato. 
Un racconto di vite, di un passato che si ripropone indigesto e sapido per tutti, compreso il padre nello ospizio, con quel   corpo segnato, nel dolore, nella responsabilità  e  insieme nella impossibilità di liquidarlo per sempre e quella mente bambina ormai andata che piange e reclama la madre.
Per questo ha scelto il Gute Nacht, Die Winterreise di Franz Schubert l’anziano genitore
…come un estraneo sono comparso,
come un estraneo me ne vado…
…e ora il mondo è tanto triste
la strada è sepolta dalla neve.
 
Ogni volta Seidl si fa carico di quell’umanità nascosta, negata, dimenticata, non per disinteresse o disumanità  ma semplicemente  per inadeguatezza estetica.
Il suo sguardo si sofferma là dove il mercato dell’immagine non ha mercato, perché vecchio, obsoleto,  osceno perché fuori scena.
Alla nostra epoca, votata all’idolatria della giovinezza, Seidl intende sferzare un contraccolpo per farne il centro di una riflessione sul perenne disgregarsi delle cose arrecato dall’opera del tempo: la distruzione è l’essenza dell’esistenza e noi siamo ciò che ci distrugge, e il regista austriaco non esita a ricordarci che il corpo è l’oggettivazione dell’essenza distruttiva.
Seidl, come un attento  gerontologo, si avvicina al preludio della morte, a quel tempo che per Pasolini ha “meno futuro e quindi meno speranze e per questo da un grande sollievo”.
 
Si è vecchi, per così dire, ab initio, eppure d’un tratto.
 (Manlio Sgalambro)
 
Un tempo quello della vecchiaia che esercita una forza che consacra, sebbene, sembra sottolineare il regista austriaco, ciascuno abbia il diritto e anche il dovere di   chiedersi se la morte risponda alla propria evidenza oppure no.
 
Abbiamo il diritto di domandarci fino a che punto crediamo davvero, nel nostro cuore, a una cosa che è in realtà è assolutamente impensabile; o se invece, per noi, la nostra morte non sia, in fin dei conti, la cosa più fantastica del mondo.
(A.Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, cap. 41)