VENEZIA 79
MONICA (‘113)
di Andrea Pallaoro
con Trace Lisette, Patricia Clarkson, Adriana Barrazza, Joshua Close, emily Browning
 
Sapere dov’è l’identità è una domanda senza risposta
( J. Saramago)
 
Monica è una ragazza silenziosa.
Bellissima, con un fisico imponente, si muove su una coupè rossa ma è il ritratto doloroso di una solitudine invadente.
Torna dopo venti anni nella casa di famiglia in Ohio perché la madre  affetta da una neoplasia celebrale, morirà presto.
Una serie di telefonate non corrisposte all’ex compagno, una serie di silenzi, non detti, non mostrati, ma individuati nel percorso dell’opera, confermano l’indiscutibile capacità del regista di raccontare nel rispetto totale dell’ intimità dei personaggi.
I motivi autobiografici del regista sembrano averlo condotto a riflettere sul passato e sugli effetti psicologici dell’abbandono.
La cura che rivolge a Monica in questo caso, come quella che rivolgeva ad Anna nel film precedente, sempre presentato alla mostra del cinema di Venezia, conferiscono a Pallaoro la caratteristica ontologica del rispetto e della attenzione che ripone per le protagoniste delle storie che racconta.
Quest’ ultima esplora la complessità e gli innumerevoli volti della dignità umana, le conseguenze di un rifiuto genitoriale e sentimentale e l’ impossibilità di guarire dai traumi atavici.
Non esita a percorrere la natura precaria dell’identità anche attraverso la specularità del vissuto di una età acerba e in fieri, quell’identità sottoposta ad esame dalla necessità di trasformarsi per vivere e sopravvivere.
Il dialogo che Pallaoro costruisce nei suoi preziosi lavori è assolutamente intimo e pieno di pudore e di rispetto;  la sacralità dei ritratti restituisce sempre un margine di interpretazione e di mistero.
L’estetica dei volti e dei corpi destruttura i ritratti per restituire il senso della complessità e per infrangere l’alienazione insita.
Monica, con i suoi occhi, la sua gestualità, le sue espressioni sottratte dice tutto senza dire nulla: poche sono le sue parole, silenziate da una fragilità identitaria spezzata dal riconoscimento dell’amore materno.
Pallaoro consacra con questo film, il suo talento,  la rara abilità di sottrarre narrazione e recitazione, invitando lo spettatore a penetrare nel percorso rappresentato senza alcuna forzatura voyeristica con la necessità tuttavia di impegnare il proprio vissuto e sentito senza il quale è impossibile cogliere opere di tale sofisticata e raffinata tessitura.
 
Il fascino della conoscenza sarebbe limitato se sulla sua strada non ci fosse tanto pudore da superare.
( W.F. Nietzsche)