Lo sguardo, l'occhio immortala una società ingiusta e terrificante in una Copenaghen nell'imminente fine della Prima Guerra Mondiale tra fantasmi, freak e perfino la strega dove le donne sono, di fatto, costrette ad abbandonare i propri figli neonati lasciate spesso sole dai mariti andati in guerra e senza possibilità di ascensore sociale e allo stesso modo anche il trattamento per i reduci di guerra mostra è svilente.
Il regista Magnus von Horn riprende dal cinema muto, dall'espressionismo, dai classici dell'horror anni ‘30 ma per certi aspetti anche da Lynch e Rosemary’s Baby per mostrare il racconto della protagonista Karoline che lasciata sola dal marito, in guerra, è un'operaia tessile che non riesce a pagarsi un stanza dove vivere e tenta un'improbabile ascesa sociale cercando di sposare il direttore della fabbrica per poi però rivedere l'ombra, il fantasma del marito divenuto e ritenuto ormai un freak dalla società. Perciò i tentativi eterni di fuga, scappare e buttarsi dalla finestra cercando una strada, una vita fino a imbattersi nella strega Dagmar, una donna che all'apparenza sembra affidare i neonati, di madri che non possono occuparsene, a delle famiglie per bene ma che in realtà compie l'atroce atto di ucciderli.
Von Horn tramite il 4:3 mostra una Copenaghen senza speranza, chiusa in una società pregna di ingiustizia sociale dove il direttore della fabbrica non va in guerra e mette incinta Karoline, promette di sposarla fino a rimangiarsi la parola per non perdere le fortune famigliari.
Il bianco e nero, i chiaro-scuro, le ombre contornano il film di venature horror, i personaggi umani assomigliano a creature mostruose, la carrozzina con cui Dagmar porta i neonati in angoli nascosti per sbarazzarsene è nera come quella di Rosemary's Baby.
Karoline vorrebbe essere madre ma non ha i mezzi per occuparsi della propria figlia dunque l'avvicinarsi a Dragmar, allattare gli altri neonati e da qui anche l'etere, le droghe che Dragmar utilizza per andare avanti per placare gli attimini di umanità.
Il film mostra già da subito una madre che da una schiaffo alla propria figlia quando le due vanno a visitare la stanza di Karoline che non riesce più permettersi, in una società così ingiusta, senza mobilità sociale, dove le famiglie sono private dei padri mandati in guerra e lasciando le madri al loro nefasto destino, quest'ultime si affidano alla strega.
La scena dove Peter come un'ombra, un fantasma, Dragmar inquadrata dal basso verso l'alto come fosse davvero una strega, la carrozzina nera, il momento che Karoline scopre la verità, quindi l'inquadratura di Dragmar di spalle che strangola un neonato, così come i fumi di Copenaghen, i tagli di luce, la bellissima inquadratura cupissima di Karolne sulle scale, sono tutti momenti gestiti e mostrati maniera ottimale che danno venatura artistica al film.
Il finale da quel barlume di lucentezza sia Karoline che Erena, la bambina che viveva insieme a Dagmar, dapprima sono ombre ma con l'abbraccio, con l'adozione, in un orfanotrofio stracolmo di ragazzi di tutte le età, emerge la luce per una futuro, una vita insieme che comunque sarà difficile e ostica.
Bellissimo.