La città, l'urbanizzazione che disintegra l'individuo, questo risulta inghiottito dalla città stessa che lo risucchia, lo fa sentire smarrito fino a farlo scomparire.
Film recuperato grazie al libro “So Cosa Hai Fatto” di Pier Maria Bocchi che invito tutti gli appassionati di horror, e di cinema in generale.
Suziey vive a Los Angeles insieme alla coinquilina Karen, il duo alla regia Dallas Richard Hallam, Patrick Horvath utilizza perennemente la macchina a mano con la duplice finalità di dare quotidianità al film e tensione.
Infatti la protagonista viene inquadrata costantemente nella sua ruotine, il bar dove lavora, il cane e la sua solitudine.
Quello che viene messo in scena in Entrance è la totale apatia con la quale Suziey vive le giornate e la sua routine ricorrente.
Dallas Richard Hallam e Patrick Horvath mostrano le strade del quartiere dove vive Suziey, quest'ultima che cammina costantemente in balia di una città che la sta divorando.
Suziey non è mai a proprio agio e gli eventi enfatizzando la sua solitudine e insoddisfazione.
La scomparsa del cane, la vacanza di Karen dunque lo stesso appartamento non risulta più un luogo di comfort.
La protagonista dunque in ottica di messaggio l'individuo in se, è totalmente assoggettato dalla città, da una vita che le convenzioni vorrebbero che si vivessero quindi ecco che l'individuo si smarrisce, viene inghiottito dalla città stessa fino a scomparire.
Infatti ci sono diversi stacchi di sequenza a nero che raffigurano proprio la progressiva scomparsa di Suziey, il suo essere inghiottita nella sua apatia dalla città, dall'appartamento quindi dai luoghi di vita.
Molte belle le scelte di optare spesso per degli overtake, dunque inquadrature prolungate proprio sulla quotidianità della protagonista che ne aumentano sia la carica ansiogena ma anche questa perenne ruotine all'insegna del vuoto.
Il film non è girato con lo stile di Swallow, ad esempio, Suziey non è “piccola” in confronto all'ambiente circostante, la solitudine e l'apatia vengono date dal continuo ripetersi della routine, dall'insistente camera a mano e dagli stessi overtake che mostrano la ragazza estraniata da tutto e tutti.
Quando Suziey decide di uscire la sera e andare con un ragazzo, quindi la seguente scena di sesso, è senza passione, senza emozioni, sembra più un tentativo tanto per fare e ciò amplifica lo smarrimento, il concetto di vita che la società, la stessa Los Angeles impone che distrugge l'individuo.
Quindi lo svolgimento del film è un continuo mostrare gli eventi, la routine di Suziey nel suo smarrirsi fino ad arrivare ad una sorta di home invasion finale con l'irruzione di un uomo mascherato che provocherà morte e sangue.
Lo stesso killer dice di essere simile a Suziey, entrambi persi, logorati da Los Angeles, ciò provoca l'atto di uccidere e il finale è altamente significativo con il killer e Suziey che guardano una Los Angeles in notturna con tanto di dissolvenza in nero.
I personaggi sono dunque stati fagocitati dalla città stessa, della sue ambizioni e aspettative.
Film interessante per lo stile adottato, la camera a mano, gli overtake, i piano-sequenza e anche per le tematiche che fa interrogare lo spettatore sul rapporto tra individuo e città dunque sullo spazio-scenico del film in se, sul come il soggetto interagisce sull'ambiente e dunque sulle pressioni e aspettative che la società urbanizzata impone all'individuo.